1995
Sala Personale al Padiglione Italia dei Giardini di Castello di Venezia
a cura di Gillo Dorfles
opere esposte: Acqua nell’acqua, Musica in gocce, L’offerta, Effimere
performance di Guido Facchin
1995
Sala Personale al Padiglione Italia dei Giardini di Castello di Venezia
a cura di Gillo Dorfles
opere esposte: Acqua nell’acqua, Musica in gocce, L’offerta, Effimere
performance di Guido Facchin
Se, in apparenza, le opere di Amalia Del Ponte possono sembrare del tutto disgiunte da ogni riferimento figurativo e da ogni ricerca rivolta alla corporeità, in realtà è proprio l’impronta dell’artista sul materiale usato, la proiezione del suo pathos sulla dura superficie del marmo, a costituire l’aspetto più significativo dell’osmosi tra artista e medium espressivo. La scultrice, che ha al suo attivo una lunga stagione di opere, in parte decisamente legate a corrispondenze numeriche attraverso lo studio di misurazioni auree o di rapporti con armonie musicali e cosmiche.
In questa sua rassegna ha dato vita a una serie di sculture parietali in pietra (marmo, serpentino ecc.) Acqua nell’acqua, costituite da grandi pannelli lapidei, lavorati e incisi così da ricavarne lievi ondulazioni che creano luci e ombre, ricami e percorsi, quasi a fingere misteriosi paesaggi acquatici.
Il fatto che, a quella valenza plastica e grafica, si accompagni anche una valenza «acustica» (le lastre, definite anche «litofoni» si possono percuotere ottenendone arcane sonorità) non fa che accrescerne il fascino; come accade anche con la serie della Musica in gocce: un percorso di dischi marmorei (in marmo turco) dalla luminosa trasparenza verdastra; ancora una metaforica immagine musicale e acquatica insieme – dove le forme concentriche scavate da immaginarie gocce, costituiscono un ulteriore miraggio consolidato nel marmo.
A prescindere da quelli che possono risultare gli equivalenti numerici di queste composizioni, e a prescindere dalle opache sonorità che dalle stesse si espandono, queste sculture rimangono a testimoniare l’acuta sensibilità plastica dell’artista e la sua capacità di far interagire la stessa materialità del medium con l’intima natura delle nostre vibrazioni corporee.
Gillo Dorfles
La Biennale del Centenario. Padiglione Italia.
“Ammirevole strumento è questo scolpito da Amalia Del Ponte per la vista, l’udito e il tatto. È scultura, non solo, ma anche musica, ma anche pittura: che anelano all’unità del sensorio; per non dire, all’unione dello spirito con la materia. L’artista di Milano meritava da decenni di partecipare alla Biennale, bene ha fatto Dorfles a volerla nel padiglione italiano. Il quale risulta meno sagra paesana grazie a questa presenza e poche altre, e dal quale si distaccano Amalia Del Ponte come un gong, Nunzio mediante ascensione in parete, Spalletti per levitazione e Parmiggiani con angelica delocazione. Da troppi anni le partecipazioni italiane s’ingrossano di stridori che non consentono ne lo scambio ne l’isolamento. Allora, solitaria ma combattiva, dovendo salvaguardare l’identità del suo lavoro fra sale ostili, Amalia Del Ponte ha intensificato le interazioni percettive che è solita affinare tra la materia e l’immagine e il suono, propagandole oltre la sala mediante un ambiente più articolato del solito. Ha sospeso quattro lastre di marmo serpentino, “Acqua nell’acqua”, arabescate con figure di onde eredi di Hokusai, pietre percuotibili con un batacchio anch’esso di pietra, e ne ha suonato i pori e le vene. Poi, la sua dannata sala di passaggio, dove rischi che i toni passino inavvertiti. Amalia l’ha lastricata di gocce di marmo verdone, così guardi dove metti i piedi: “Musica in gocce”, registrata e diffusa. Alcune foto mostrano al pubblico che possono suonare i litofoni, volendo. Adoro le performance di pietra fatte eseguire da Amalia, sono semplicemente ammalianti. L’installazione visiva e sonora di Amalia Del Ponte è frutto anche di una disciplina corporale, a sua volta regolata da una meditazione del tutto privata – suggerita dai suoi frequenti viaggi in Oriente – che si è ben guardata, lei, dal mettere in mostra. Che le performance siano rigorosamente personali: solo così la goccia muta la pietra e il molle vince il duro, come diceva quel tal taoista.”
Tommaso Trini Castelli
Ritmo e misura
“In una Esposizione dove “le scelte presuppongono la diversità come categoria ermeneutica”, l’incontro con la singolarità di Amalia Del Ponte, nel padiglione italiano dei Giardini, a Venezia, ha avuto un impatto rincuorante. Non giustificato solo o tanto dalla lucidità di una ricerca che trova fondamento e chiarezza nel rapporto armonico tra visibile e udibile che i Pitagorici hanno studiato; ma potenziato piuttosto dall’arcana corrispondenza – visiva e sonora – tra pietra e acqua: così che ciò che sta si traduce in ciò che scorre, il mobile, il fluttuante si fissa nella solida fisicità dell’immobile. E pietra e acqua dicono alle nostre percezioni il ritmo oscuro e profondo delle cose nel cosmo; ritmo in cui si inserisce – col tempo del suo battito – chi tenti col percussore la pietra: che è l’esperienza delle performance sui litofoni, costitutive di ogni mostra di Amalia e delle quali sono disegnati – pentagrammati – (ed esposti) i ritmi di composizione, le individualifrequenze di risonanza.
Acqua nell’acqua (1993) è il titolo della serie di quattro lastre affiancate, moduli di ritmo di misura diversa, che nella sala della Biennale sono appese ad una trave di ferro.
Su di esse la mano di Amalia ha lavorato onde a scroscio (l’immagine è di Eleonora Fiorani), come a cercare la fusione – non più solo la corrispondenza – tra linguaggi diversi: per cui ‘ senti’ nell’atto del vedere. Quando poi la pietra è percossa, forma e sonorità si intrecciano in una cadenza apollineo-dionisiaca che a Francesco Leonetti era parsa, a suo tempo, insistita piuttosto sulla musica.
Sul lato oscuro del dionisiaco. Anche i dischi di marmo turco verde chiaro posati sul pavimento, nella disseminazione di ‘ Musica in gocce’ (1995) vogliono restituire sinesteticamente il cadere della pioggia nell’acqua: cerchi che si allargano concentrici, che rimandano per suggestione al motivo della spirale, agli emblemi acquatici dei miti della fecondità e della nascita (altro tema d’indagine, quest’ultimo, nel percorso di ricerca della Del Ponte). Ma la ricerca del ritmo-ordine nel movimento secondo Platone, alternarsi del continuo/discreto secondo il Bachelard cui Amalia fa riferimento – è una costante del suo lavoro: da quando, negli anni ’70 aveva studiato l’accrescimento dei cristalli, la loro regolarità di organizzazione dispiegata nel tempo. E aveva ‘ allevato ‘ un cristallo in una soluzione sovrasatura di allume di potassio: ” il tempo ordinato – scriveva – si manifesta nella struttura dei cristalli come istanti utilizzati e collegati dagli stessi ritmi “. Timbro dunque e luce, come qualità e forma, le ” due componenti inscindibili” di una ricerca che, ancora più indietro nel tempo, negli ultimi anni ’60, si era espressa nei Tropi: prismi di plexiglas che metamorfosizzano lo spazio in cui sono inseriti, creando con la rifrazione della luce realtà virtuali; corpi trasparenti (lente e schermo, aveva scritto V. Fagone presentandoli) attraverso cui rivelare e velare, in gioco continuo, un ambiente: magari il cortile della Casa del Mantegna, come a Mantova nel 1994.”
Annarosa Baratta