1960
gesso, 13 x 8 h.20
distrutto
“Lei si chiama Del Ponte […] il mistero le sembra grottesco e ha ragione. La logica le sembra illogica e non ha tutti i torti, quando vediamo come i nostri spiriti se ne servono. Da queste due contraddizioni doveva nascere il principio della sua ricerca, una ricerca dove l’assurdo e il mistero sono pregati d’andare a rivestirsi negli spogliatoi in rovina della filosofia umanista. La scultura non può essere la progettazione di uno stato d’animo. Ne crepiamo di questi accademisti ridicoli che insistono a non capire che Rodin è del Pisano mal finito e che l’omosessualità di Michelangelo, che lo spinge verso il desiderio gigantesco delle forme non è altro che la prima pietra della sua colpevolezza geniale.
Non c’è ragione di fermarsi su una così buona strada, le forme di Brancusi e di Arp sono della stessa materia estetica dei cavalli di San Marco e delle statue da “Upim” della antica Grecia, se la vittoria di Samotracia avesse la sua testa sarebbe magari una sconfitta.
Allora la scultura cos’è? se non il vecchio sogno che l’uomo ha di creare nuove forme e non statue di papi o di generali. È vero che la scultura ha conosciuto il suo periodo di rappresentazione quando l’uomo si voleva come sé stesso; Angor, il periodo Ming, la civilizzazione dei Benin, gli Incas, il sorriso dell’angelo di Reims, Reiter di Norimberga; ma la vera scultura nasce dall’invisibile. Quello che l’uomo non può sequestrare con la sua memoria lo crea con le sue mani, sono gli scultori che fanno i totem non il contrario.
Jaques Kermoal
Lettera ad Amalia, 1961