Presentazione di Elisabetta Longari:


“Ho accettato di essere con voi nonostante sia in flagranza di ignorantia delle opere di cui raramente ho avuto esperienza diretta, perciò vivo questo come un primo avvicinamento all'opera di Amalia e prendo le cose sul piano che più mi si confà, quello delle parole: farò un discorso nominale, basato sulle scelte dei titoli, sul libro, e perfino sul nome stesso dell'artista.

Partiamo dal titolo del volume: RISONANZE ORBITALI.

I due termini mettono subito in gioco il rapporto sinestetico come fondamento del fare e parlano anche un respiro cosmico, legato al movimento delle sfere che è parimenti portatore di istanze poetiche e scientifiche.

Con queste sonorità siderali che restano nelle nostre orecchie e in fondo ai nostri occhi apriamo il libro il cui sottotitolo è

OPERE E DOMANDE.

Sulla necessità della domanda è inutile perfino soffermarsi, poiché da questa nasce ogni movimento conoscitivo.

Importante che Amalia metta le opere sullo stesso piano delle domande, anche perché ciò ci autorizza a un gioco di sovrapposizione.

Anche la domanda sembra propagare un'energia analoga a quella delle opere, soprattutto quelle sonore.

Prima di dire che anche i titoli delle sezioni (Rifrazioni, Riflessioni, Risonanze, Lievità) rafforzano il legame con il suono e con la persistenza della vibrazione, voglio ricordare lo splendido viatico che Amalia si è data, una frase di Dubuffet che dice: l’Arte non dorme mai dove le abbiamo preparato il letto.

I titoli delle opere riprodotte parlano tutti di energia, sono dinamici, alcuni perfino molto sonori; vi faccio qualche esempio:

Tensione, Area percettiva, Vortici, Accrescimento del cristallo, ecco quelli tra i più sonori:

L'aria della freccia sibila e Acqua nell'acqua sciaborda. Un titolo che amo molto è Pensieri curvi (ho appena terminato di leggere il meraviglioso libro che raccoglie gli scritti di Morton Feldman finalmente tradotto in italiano con il titolo Pensieri verticali... si può azzardare che Amalia sia il femminile e lui il maschile).

Ho particolarmente apprezzato questo libro per la sua polifonia: la propria voce d'artista si mescola alle voci di altri, critici, amici, scienziati, poeti... dentro queste pagine c'è l'arte, la vita, la filosofia, la guerra, il virtuale, l'infanzia...

Per frammenti costituisce un testo caleidoscopico e molto ricco. Tutto vibra e si propaga.

Apprezzo molto il lavoro di montaggio di testi e immagini e la chiusura sull'ultima immagine che io interpreto come un corredo funerario.

La coscienza del grande viaggio sconosciuto che ci aspetta abita comunque queste opere, mi sembra infatti Amalia si chieda, come tutti noi, a pagina 192:

“dove finiranno i miei atomi immortali?”...

In modo molto zen si può rispondere che non è dato sapere ma è bello sapere che la legge della vita è il mutamento, la dispersione di ciò che c'è e che va a combinarsi altrimenti per creare ciò che ancora non c'è se non in nuce.

Vista in questa prospettiva non v'è nulla di tragico nell'idea che tutto scorre.

Quanto a me non sono in grado quasi mai neppure di tentare di rispondere alle ambiziose domande che si pone l'artista, quindi spero di non deluderla su tutti i fronti.

Però in due occasioni ho la risposta valida per me: La prima è a quella domanda posta a pagina 16 che riguarda Leonardo: << a cosa allude quando immagina “l'orizzonte dei perdimenti”?... e che tipo di pittura farebbe adesso, se dipingesse?>>.

Ora nell'amore tassonomico e nel proliferare arioso, vorticoso e vertiginoso di certe immagini del cinema di Peter Greenaway, penso specialmente al Prospero Book (L'ultima tempesta) vedo il Leonardo contemporaneo, alle prese con il computer e le sue possibilità di moltiplicare le immagini, ripeterle, campionarle, variarle.

La seconda è quella, capitale per noi storici dell'arte, svelandomi intrisa di cultura romantica risponderei con Wassily Kandinsky indicando la necessità interiore come conditio sine qua non.

Avrei in serbo in ultimo un divertissement costituito da un gioco di immagini che il suo nome suggerisce in maniera quasi automatica, un gioco di parole in agguato che già Trini ha sviluppato per la sua prima parte: AMALIA che ammalia, per sottolineare l'effetto prodotto su colui che entra in contatto con l'opera e che se ne sente irretito, coinvolto.

Passiamo al cognome DEL PONTE: il ponte crea un collegamento tra una sponda e un'altra, tra la musica e la scultura, tra l'invisibile e il visibile...

Non era che un giochi ma sembra contenere delle precise indicazioni sulla verità dell'opera.

Però una domanda l'avrei da rivolgere all'artista, una nuova-vecchia domanda, che esula apparentemente dalle sottigliezze del pensiero che questo libro a volte tocca, per riferirsi invece alla biografia, anche se artistica:

Hai frequentato Brera, dove io insegno dal 1991. Mi piacerebbe sapere che cosa ricordi come fertile della tua formazione, che rapporti di scambio sono stati importanti per te?

Cosa ti resta di marino Marini?

E dei tuoi compagni?”


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